POLITICA INDUSTRIALE CULTURALEPh. Clayton Tang - Wikipedia

Claudio Bocci – Direttore Federculture/Consigliere Delegato Comitato Ravello Lab

L’Italia detiene la gran parte del patrimonio culturale mondiale”: poche convinzioni uniscono gli italiani come quella di essere il paese della ‘Grande Bellezza’ sottolineato anche dal primato italiano nel numero dei siti inseriti nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco.

Purtroppo, a questa estesa consapevolezza non corrisponde un’adeguata politica di valorizzazione in chiave economica e sociale. D’altra parte, una cosa è assolvere a compiti di conservazione e tutela (fondamentali!), altro è sviluppare strategie di sviluppo economico a base culturale. Il Ministero competente, proprio in ragione del suo DNA e nonostante l’importante stagione di riforme che sta vivendo, mostra un limite evidente a tenere insieme processi di tutela, valorizzazione e gestione dell’enorme patrimonio culturale del paese. Per non parlare del nuovo e promettente settore delle Industrie Culturali e Creative (inserito nel PON Cultura e Sviluppo), che valgono circa 90 Md di euro direttamente afferibili al settore la cui filiera, per un effetto moltiplicatore, raggiunge un valore complessivo di circa 250 Md di euro, pari al 17% del valore aggiunto nazionale (come ha recentemente messo in evidenza il Rapporto della Fondazione Symbola).  La recente attribuzione delle competenze in materia turistica, poi, ha ulteriormente aggravato alcune criticità di fondo che impediscono al Mibact un intervento organico ed efficace, in una prospettiva di sviluppo economico ed occupazionale.

A ben vedere, tuttavia, per un paese in cui circa il 60% dei turisti dichiara di essere interessato al patrimonio culturale e di cui solo il 15% scende sotto Roma, è evidente che il limite più grande riguarda la governance. Pochi settori come quello turistico, infatti, mostrano un’interconnessione tra la capillare diffusione di risorse culturali e naturali con il sistema delle infrastrutture la cui arretratezza ne impedisce una piena valorizzazione nell’ambito di un approccio integrato.

Il caso più eclatante è quello di Matera che si appresta ad essere Capitale europea della cultura 2019 e il cui problema più grande ora non è certo la dotazione di patrimonio culturale ma è appunto l’accessibilità: come far arrivare a Matera la moltitudine di turisti che si aspettano per gli eventi in programma in assenza di una adeguata rete ferroviaria e autostradale?

In un’economia che a livello globale si smaterializza e in cui assumono crescente importanza ‘valori simbolici’, porre la cultura al centro delle politiche dello sviluppo economico potrebbe attribuire un enorme vantaggio competitivo al nostro paese, con importanti effetti anche sulla coesione sociale.

Per raggiungere questo obiettivo, tuttavia, occorrerebbe dotarsi di:

– una ‘politica industriale di sistema’ condivisa con molte altre competenze amministrative

– una task-force unitaria che, in collegamento con i territori (Regioni e Comuni, in primo luogo) possa sviluppare gli indirizzi di policy.

L’idea, dunque, è la costituzione di una sorta di Comitato Interministeriale per la politica economica Cultura, Turismo, Industrie Creative di cui facciano parte oltre, al Mibact, le molte deleghe interconnesse: Sviluppo Economico, Infrastrutture, Esteri, Istruzione e Ricerca, Risorse Agricole, Ambiente, Lavoro e Politiche Sociali. Altrettanto importante, la costituzione di una task-force, a Palazzo Chigi, di esperti di sviluppo economico 3.0 che sappiano correttamente interpretare gli indirizzi politici e che, in stretto coordinamento con i Territori e in raccordo con le Imprese, sviluppino un approccio integrato alla crescita economica e sociale, di cui la cultura è un enzima fondamentale. Questo aspetto di coordinamento ed interazione con le Regioni e le Città Metropolitane assume una particolare urgenza, anche in relazione al riordino amministrativo delle Province che proprio nel settore turistico svolgevano, seppur con dei limiti, un ruolo di aggregazione e indirizzo, con particolare riferimento ai piccoli comuni.

Nella divisione internazionale del lavoro, pensare ad una specializzazione produttiva a base culturale potrebbe rappresentare una coerente risposta alla domanda di bellezza e di qualità della vita presente nell’immaginario collettivo globale. Peraltro, per le caratteristiche proteiformi della cultura, un consapevole investimento strategico in un processo di sviluppo a base culturale, avrebbe un benefico e forse maggior effetto anche sul piano sociale, favorendo una maggiore coesione delle comunità locali e introducendo stabilmente quegli anticorpi a derive disgregratrici di società complesse ma sempre più ineguali.