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Il 2 febbraio scorso si è celebrata la Giornata Mondiale delle Zone Umide, dedicata per questa edizione al rapporto fra questo tipo di ecosistema e i disastri naturali.

Il tributo di vite umane perse a causa delle calamità naturali è tragica: 1,35 milioni di persone sono morte a causa di disastri tra il 1996 e il 2015. Nei paesi a basso e medio reddito questi rappresentano il 90% dei decessi;  in termini materiali, i danni causati dai disastri correlati al cambiamento climatico tra il 1980 e il 2014 ammontano a 3,3 miliardi di dollari.

Secondo gli scienziati, il ruolo delle zone umide risulta essere potenzialmente fondamentale nella gestione del cambiamento climatico e nella prevenzione e risoluzione dei disastri naturali ad esso correlati. 

Definite come “aree territoriali inondate di acqua, sia stagionalmente che in modo permanente”, le zone umide sono un amplificatore di protezione naturale contro le calamità.

Lungo la costa, queste infatti agiscono come una zona cuscinetto di protezione naturale. Ad esempio, hanno contribuito a evitare più di 625 milioni di dollari di danni in occasione del passaggio dell’uragano Sandy negli USA nel 2012. All’interno, le zone umide agiscono come una spugna naturale, assorbendo e immagazzinando gli eccessi di piogge e riducendo di conseguenza il pericolo di inondazioni. Durante la stagione secca, inoltre, rilasciano l’acqua immagazzinata, ritardando l’insorgenza della siccità. Quando ben gestita, dunque, una zona umida può rendere la comunità abbastanza resistente per prepararsi, affrontare e riprendersi dai disastri.

Per ciò che riguarda l’aspetto della prevenzione,

per ridurre al minimo l’impatto di una inondazione, gli studiosi oggi sono in grado di individuare territori che risultano essere maggiormente a rischio di alluvioni e tempeste e che possono utilizzare le proprie zone umide per rafforzare la propria zona cuscinetto in maniera naturale. La Riserva della Biosfera del Delta del Saloum in Senegal, per esempio, è una territorio di estuari, laghi e paludi. La sua struttura permette agli abitanti della zona di controllare le inondazioni e fa in modo che gli esseri umani, gli animali e le piante abbiano accesso all’acqua per l’intero anno. Lo IUCN sta oggi lavorando con le comunità locali in Senegal per ripristinare le zone umide degradate e di incoraggiare l’agricoltura, il turismo e la pesca secondo pratiche sostenibili.

Quando un evento estremo colpisce un territorio, le zone umide sane possono assorbire una parte dello shock, ammortizzando quindi parte dei danni a carico delle comunità locali. In Hikkaduwa, Sri Lanka,le cui barriere coralline sono protette con l’istituzione di un parco marino, il danno dallo tsunami del 2004 si è esteso solo per 50 metri verso l’interno. Questo perché la barriera corallina, in buone condizioni, ha fatto il suo “lavoro di barriera”. Nella vicina Peraliya, invece, dove l’estrazione del corallo  aveva degradato gli scogli, si sono avuti danni fino a 1,5 km dalla costa verso l’interno.

Le zone umide possono anche accelerare il recupero di un territorio martoriato da un disastro naturale e contribuire a “ricostruirle meglio”. Dopo il ciclone del 1999 che ha colpito Odisha, nel’ India orientale, risaie che erano state protette da foreste di mangrovie hanno ripreso la loro produzione  molto più rapidamente di quelle terre coltivate vicine che non avevano una zona cuscinetto. Il mantenimento di zone umide sane e il ripristino di quelle degradate significa quindi che una comunità , in caso di calamità naturale, potrà ricomporre le proprie forze e utilizzare le proprie risorse sempre meglio se saprà mantenere lo status quo dell’ecosistema in cui vive.

Fonte: worldwetlandsday.org