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Le attività economiche umane minano i siti protetti, lo denuncia il rapporto “Proteggere gli uomini salvaguardando la natura”, pubblicato dal Wwf 

Grande barriera corallina australiana, foreste pluviali del Madagascar, parchi nazionali spagnoli e della Mauritania, riserve faunistiche della Tanzania, scogliere del Belize. Patrimoni naturali del pianeta messi a rischio dalle attività economiche umane, secondo quanto denunciato dal Wwf.

Su 229 siti naturali registrati nel Patrimonio mondiale, 114 sono coinvolti da attività industriali nocive, scrive l’organizzazione ambientalista internazionale in un rapporto dal titolo “Proteggere gli uomini salvaguardando la natura”.

Il rapporto sottolinea come oltre a nuocere a un patrimonio che vanta un valore universale eccezionale, il degrado di questi luoghi è suscettibile di mettere a rischio la loro intrinseca capacità di apportare benefici economici, sociali e ambientali ai circa 11 milioni di abitanti del pianeta che hanno a che fare, a diverso titolo, con queste località.

Ms Rössler , direttore del Centro Patrimonio Mondiale, ha dichiarato che ” Il rapporto del WWF giunge nel momento in cui i governi e il settore privato di tutto il mondo si muovono contro le attività estrattive dannose. Il 2015 ha visto azioni mai intraprese in precedenza: nel gennaio dello scorso anno il govern del Kiribati ha dichiarato il suo intero sito UNESCO – il più esteso del Patrionio Mondiale – zona off limits per le attività della pesca; in maggio la Shell ha deciso di rinunciare alle trivellazioni nel mare del Chukchi che avrebbero potuto danneggiare il sistema della Riserva delle isole Wrangel in Russia; a dicembre il governo del Belize ha annunciato la chiusura permanente alle estrazioni di idrocarburi nell’area del suo sito”

Il Direttore dunque saluta favorevolmente la cooperazione con le Ong, inclusa il Wwf, che si pongono come partner nella protezione dei siti del Patrimonio Mondiale. Nel 2003 fu siglato da diverse grandi compagnie un documento chiamato “No-Go commitment” che si impegnava a non condurre  ricerche ed estrazioni minerarie nelle aree del Patrimonio. Ad oggi sono diverse le compagnie che si vanno aggregando: grazie all’azione delle Ong e dell’opinione pubblica, gli Stati stanno rivisitando il proprio impegno verso la preservazione del patrimonio naturale, diventando sempre più consapevoli del loro valore universale.

“Le sfide della conservazione del Patrimonio e gli effetti del cambiamento climatico ad oggi non hanno precedenti nella storia dell’Umanità: la collaborazione fra le istituzioni, le comunità e gli stakeholders delle aree interessate è imprescindibile.”

I siti simboleggiano il concetto stesso di aree protette ricorda il Wwf che basa il suo rapporto su un censimento stilato dall’Unione internazionale per la conservazione della natura. Ma l’elenco dell’Unesco non è automaticamente sinonimo di protezione in quanto l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura non ha il potere di costringere i governi a proteggere i siti.

Il Wwf invita pertanto i governi e le imprese coinvolte in queste attività ad agire in favore di un futuro sostenibile per tutte queste località: “Tra le varie attività nocive, spesso opera di multinazionali e delle loro filiali locali, si possono ricordare prospezioni ed estrazioni petrolifere, sfruttamento illegale delle foreste, creazione di grandi infrastrutture, pesca indiscriminata e il depauperamento delle risorse idriche”.

Fonte: whl.unesco.org