Mito di Niobe - Mostra - ph. Quirino Berti per Istituto Villa Adriana e Villa d'EsteMito di Niobe - Mostra - ph. Quirino Berti per Istituto Villa Adriana e Villa d'Este

Ha aperto i battenti lo scorso fine settimana la mostra “E dimmi che non vuoi morire: il mito di Niobe”, che inaugura la prima stagione espositiva dell’Istituto Autonomo Villa Adriana e Villa d’Este come nuovo organismo autonomo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Ideato in occasione dell’anniversario della morte del poeta Ovidio, il progetto espositivo – curato da Andrea Bruciati, Micaela Angle – si sviluppa nell’Antiquarium del Santuario di Ercole Vincitore, dove sarà allestito un gruppo scultoreo di Niobìdi rinvenuto nei pressi di Ciampino nel 2012.

In questa occasione le statue sono state presentate per la prima volta al pubblico dopo complesse operazioni di restauro. Partendo proprio dal gruppo di Ciampino, l’esposizione esplora il mito di Niobe all’interno della tradizione attraverso un’attenta analisi dell’evoluzione e della fortuna di esso nei secoli: dall’iconografia della violenza nel Rinascimento si passa al XX secolo e si arriva fino al nuovo millennio, quando il tema è declinato in stilemi e rappresentazioni figurative che interessano l’attualità, come il genocidio e la guerra. Se uno degli obiettivi del progetto scientifico è quello di celebrare Ovidio, si vuole però qui vivificare, attraverso l’analisi di un episodio delle Metamorfosi, un racconto lungo oltre duemila anni, dove l’interpretazione e l’eredità del mito vengono intesi quasi come storytelling mutante e impressivo.

Inserita in spazi generalmente adibiti all’arte antica, la mostra infrange la divisione tra passato e contemporaneo così come quello tra esposizione temporanea e collezione permanente, ipotizzando una commistione trasversale di questi logoi che metta in luce le caratteristiche intrinseche ai siti che compongono il nuovo Istituto.
Interamente modellato attraverso piattaforme diacroniche di pensiero, il progetto propone un percorso non soltanto visivo, ma anche letterario, immaginario e musicale, ispirandosi alla poesia stessa del grande poeta romano. Oltre al gruppo scultoreo centrale,
l’esposizione presenta un ampio panorama di capolavori che nei secoli hanno riguardato la vicenda di Niobe. Il progetto espositivo si compone infatti di pregiate ceramiche antiche a figure rosse, come quella del Pittore di Arpi rappresentante Andromeda e Niobe, insieme  ai marmi bianchi proveniente dai secoli successivi e ai fregi rinascimentali realizzati da Polidoro da Caravaggio, fino al celebre Nudo e Albero firmato da Mario Sironi degli anni ’30 del ‘900 e al Red Carpet di Giulio Paolini che esprime l’atrocità della strage in
chiave contemporanea.
All’iniziativa espositiva si integra una pubblicazione capace di offrire una panoramica esaustiva a livello iconografico in cui il mito viene approfondito attraverso le indagini più recenti che riguardano tutto il settore dei beni culturali, legate all’affascinante storia di Niobe.
 
Il progetto intende affrontare un tema iconografico poco indagato dalla storia dell’arte occidentale, riflettendo in parallelo alla riattualizzazione di concetti come quelli di «mito» e di «classico» alla luce di una sensibilità tutta contemporanea. Il racconto di Niobe, nella sua articolata declinazione, ben si collega infatti ad una realtà anche oggi di difficile decifrazione e dove il rimando alle fonti può
costituire un canale esegetico privilegiato.
Il gruppo scultoreo scoperto nel 2012 a Ciampino (Roma), durante ricerche archeologiche eseguite dall’allora Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, viene esposto in questa mostra per la prima volta al pubblico, dopo complesse operazioni di restauro.
I Niobidi di Ciampino sono stati recuperati all’interno di una piscina annessa ad una villa di prima età imperiale (fine I sec. a. C. – II sec. d. C.). Le statue facevano parte di un gruppo,probabilmente replica di un originale più antico. Solo alcune delle 13 o 15 sculture marmoree originariamente presenti, sono state rinvenute: quelle dei figli potevano verosimilmente essere allestite attorno alla piscina, mentre Niobe, di cui si è preservata solo la testa, doveva occupare un basamento in peperino al centro della medesima vasca.

In tal modo, la madre, per sempre fissata nella pietra come nel racconto della tradizione, alimentava idealmente con le proprie lacrime la piscina, in un gioco di rimandi tra il mito e la sua rappresentazione. Non erano probabilmente rappresentati Apollo e Artemide, artefici
dell’eccidio, la cui invisibilità doveva accrescere la drammaticità della scena, ben esprimendo l’imperscrutabilità del volere e della punizione divina.
L’interesse del ciclo deriva proprio dalla possibilità di coglierne il contesto, che ne amplifica i significati, sebbene, sulla base dei più recenti restauri, la sistemazione delle statue attorno alla piscina paia essere stata adottata per queste sculture solo in seconda battuta.
 
Il restauro del gruppo statuario dei Niobidi, rinvenuto nella piscina di una villa d’età romana a Ciampino (RM), è stato di particolare impegno a causa dell’avanzato stato di corrosione del marmo. Le superfici delle sculture erano di difficile lettura perché rivestite da uno spesso strato di terra che non era possibile rimuovere senza asportare grani di marmo. Anche nelle zone con meno incrostazioni era evidente un’avanzata corrosione della pietra che aveva perso la superficie originaria e si presentava erosa e disgregata.
Al momento della campionatura, il terreno di giacitura risultava composto di quarzo, pirosseno, analcime, feldspati e biotite. Anche se le analisi non attestano la presenza di composizioni aggressive, il marmo, che appare macroscopicamente a grana grossa, ha subito in prima istanza danni derivati da sbalzi termici, quando le statue erano ancora sistemate attorno alla piscina.
Successivamente si è aggiunto un degrado di tipo chimico nel momento in cui il gruppo, ormai in disuso, è rimasto interrato nella vasca. Il fenomeno della disgregazione del marmo è stato accentuato dalla presenza della terra argillosa che si è andata ad inserire all’interno dei cristalli liberi, determinandone la colorazione bruna. Il problema più urgente era quello di fermare il degrado, consolidando il marmo, ma eliminando più terra possibile prima di effettuare tale consolidamento.

Un primo intervento di restauro, curato dalla CBC Conservazione Beni Culturali e finanziato dall’allora Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio, è consistito pertanto nella rimozione della terra, eseguita dapprima con mezzi meccanici e poi con laser. Si è effettuato l’incollaggio di piccoli frammenti non eccessivamente pesanti mediante apposita combinazione di resina e silice, senza necessità di perni.
Un secondo intervento, finalizzato alla ricomposizione, allo studio e alla realizzazione dei supporti per la staticità e la movimentazione, è stato affidato alla Ditta Carlo Usai e finanziato dalla Confederazione Elvetica, nel quadro di un accordo bilaterale Italia-Svizzera. In questa fase sono stati ricomposti dei frammenti ritenuti pertinenti ad alcune sculture. L’eventuale spazio tra i frammenti è stato colmato da integrazioni in malta o resina, secondo le necessità. Per risolvere tecnicamente il problema della stabilità delle opere sono stati realizzati inoltre appositi supporti, parzialmente vincolati alle basi nella superficie d’appoggio. Tale intervento è stato anche l’occasione per effettuare delle osservazioni sull’originario allestimento dei componenti del gruppo, in relazione al grado di inclinazione delle basi antiche.

Fonte: Istituto Autonomo Villa Adriana e Villa d’Este