La città di Matera non è solo un luogo d’Italia. E’ stato anche il non-luogo per eccellenza, un baratro di civiltà che in tante cronache è stato raccontato ma mai ascoltato. Oggi, al contrario, la città è sotto i riflettori del mondo, grazie al processo di formulazione e realizzazione del suo annus mirabilis come Capitale Europeo della Cultura.  In poco più di 70 anni, qual è la storia di questo non-luogo? Lo ha raccontato Angela Fiore, assessore alla Cultura con delega all’UNESCO del Comune di Matera, che ha preso parte sabato 29 novembre al convegno “Conservazione e valorizzazione dei siti Unesco nelle Isole del Mediterraneo. Casi di studio nazionali ed internazionali” a Barumini nel corso di Expo 2019.

Ogni famiglia ha, in genere, una sola di quelle grotte (i sassi, ndr) per tutta abitazione e ci dormono tutti insieme, uomini, donne, bambini e bestie. Così vivono ventimila persone. Di bambini ce n’era un’infinità. In quel caldo, in mezzo alle mosche, nella polvere, spuntavano da tutte le parti, nudi del tutto o coperti di stracci. Io non ho mai visto una tale immagine di miseria: eppure sono abituata, è il mio mestiere, a vedere ogni giorno diecine di bambini poveri, malati e maltenuti. Ma uno spettacolo come quello di ieri non l’avevo mai neppure immaginato. Ho visto dei bambini seduti sull’uscio delle case, nella sporcizia, al sole che scottava, con gli occhi semichiusi e le palpebre rosse e gonfie; e le mosche gli si posavano sugli occhi, e quelli stavano immobili, e non le scacciavano neppure con le mani. Sí, le mosche gli passeggiavano sugli occhi, e quelli pareva non le sentissero. Era il tracoma. Sapevo che ce n’era, quaggiù: ma vederlo così, nel sudiciume e nella miseria, è un’altra cosa. Altri bambini incontravo, coi visini grinzosi come dei vecchi, e scheletriti per la fame; i capelli pieni di pidocchi e di croste. Ma la maggior parte avevano delle grandi pance gonfie, enormi, e la faccia gialla e patita per la malaria. Le donne, che mi vedevano guardare per le porte, m’in-vitavano a entrare: e ho visto, in quelle grotte scure e puzzolenti, dei bambini sdraiati in terra, sotto delle coperte a brandelli, che battevano i denti dalla febbre. Altri si trascinavano a stento, ridotti pelle e ossa dalla dissenteria. Ne ho visti anche di quelli con le faccine di cera, che mi parevano malati di qualcosa di ancor peggio che la malaria, forse qualche malattia tropicale, forse il Kala Azar, la febbre nera. Le donne, magre, con dei lattanti denutriti e sporchi attaccati a dei seni vizzi, mi salutavano gentili e sconsolate: a me pareva, in quel sole accecante, di esser capitata in mezzo a una città colpita dalla peste. Continuavo a scendere verso il fondo del pozzo, verso la chiesa, e una gran folla di bambini mi seguiva, a pochi passi di distanza, e andava a mano a mano crescendo. Gridavano qualcosa, ma io non riuscivo a capire quello che dicessero in quel loro dialetto incomprensibile. Continuavo a scendere, e quelli mi inseguivano e non cessavano di chiamarmi. Pensai che volessero l’elemosina e mi fermai: e allora soltanto distinsi le paro-le che quelli gridavano ormai in coro: «Signorina, dammi ’u chiní! Signorina, dammi il chinino!» Distribuii quel po’ di spiccioli che avevo, perché si comprassero delle caramelle: ma non era questo che volevano, e continuavano, tristi e insistenti, a chiedere il chinino. Eravamo intanto arrivati al fondo della buca, a Santa Maria de Idris, che è una bella chiesetta barocca, e alzando gli occhi vidi finalmente apparire, come un muro obliquo ,tutta Matera. Di lí sembra quasi una città vera. Le facciate di tutte le grotte, che sembrano case, bianche e allineate, pareva mi guardassero, coi buchi delle porte, come neri occhi. È davvero una città bellissima, pittoresca e impressionante. C’è anche un bel museo, con dei vasi greci figurati, e delle statuette e delle monete antiche, trovate nei dintorni. Mentre lo visitavo, i bambini erano ancora là fuori al sole, e aspettavano che io portassi il chinino.” Così scriveva Luisa Levi a suo fratello Carlo, come egli stesso racconta nel 1945 in “Cristo si è fermato a Eboli”.

Pochi anni prima l’uscita del libro di Levi, nel 1937, nei Sassi, su un totale di 15.250 neonati ne muoiono 6.760, pari al 44,32%, esito anche di malattie come malaria e tubercolosi, e l’analfabetismo è di massa. Le condizioni igieniche delle case-grotta sono intollerabili, la miseria e la fatica degli abitanti – contadini, braccianti, operai, artigiani, piccoli commercianti – caratterizzano la vita quotidiana, mitigate solo dal senso di solidarietà tra le famiglie. Nel 1948 Palmiro Togliatti viene a Matera e pronuncia le parole che restano nella storia appellando la città quale «vergogna nazionale», cui fa eco lo stupore di Alcide De Gasperi nel ‘50 quando entra in un antro del Sasso Barisano. E’ detta “Legge De Gasperi”, infatti, la legge speciale del 1952 che portò allo sgombero degli antichi rioni, portandone gli abitanti a trasferirsi in nuovi quartieri e borghi. Si interessarono a questo processo intellettuali, architetti, antropologi, etnologi, fra i quali Adriano Olivetti e Friedrich Friedmann.

Da quel momento i Sassi vengono abbandonati e, in pochi anni, conosceranno un progressivo e ulteriore degrado, diventando tana di generazioni di animali selvatici, ricettacolo di sporcizia e – più tardi – rifugio per i tossicodipendenti.

Matera è messa al centro di studi e ricerche che progettano e auspicano il risanamento del suo patrimonio culturale e nel 1986, finalmente, la politica si smuove con l’emanazione con la legge speciale 771, che mette sul piatto 100 miliardi di lire per il risanamento e il restauro. L’elemento dirimente delle azioni previste dalla legge è che i Sassi devono essere riabitati, solo così potranno essere salvati: viene quindi predisposto un contributo al restauro sino al 50%  e – nel frattempo – i Sassi diventano centro di una importante azione nazionale,  guidata dal lavoro dell’architetto Pietro Laureano, grazie alla quale il 9 dicembre 1993 i Sassi e delle chiese rupestri entrano nella World Heritage List dell’UNESCO. In pochi anni Matera diventa luogo da scoprire per i turisti e un set cinematografico per le produzioni nazionali e internazionali.

Ultimo passo verso la riconversione in luogo di Matera e i suoi Sassi è la candidatura a Capitale Europea della Cultura con il progetto Open future, il cui successo finale è legato all’iniziativa di far ospitare la commissione giudicatrice dalle famiglie locali presso le proprie case. Con il giorno dell’apertura dell’anno come Capitale della Cultura, il 19 gennaio 2019, arriva a realizzazione un percorso lungo cinque anni. Il 2019 è ormai al suo termine e, con il supporto dei dati positivi già acquisiti, ci si chiede cosa sarà di Matera nel prossimo futuro.