Piano Juncker

Sono stati resi pubblici ieri da ISTAT i dati sull’universo dei musei, più in generale, dei luoghi della cultura in Italia. Lo studio racconta di ottimi risultati in merito alla crescita del numero di visitatori, dove si è registrato il massimo storico di 119 milioni di ingressi nel 2017 (+7,7% rispetto al 2015), annota una crescita nell’uso del web e delle tecnologie digitali per la valorizzazione delle collezioni e del patrimonio e una nuova crescente attenzione alla didattica e al rapporto con i territori.

Non è però tutto oro quello che luccica e non è difficile comprendere perché gli operatori del settore non dovrebbero lasciarsi abbagliare da questi lampi. Cominciamo a guardare un po’ di dati.

STATO DI FATTO – Nel 2017 il patrimonio culturale italiano vanta 4.889 musei e istituti similari, pubblici e privati, aperti al pubblico. Di questi, 4.026 sono musei, gallerie o collezioni, 293 aree e parchi archeologici e 570 monumenti e complessi monumentali.

Sono 2.371, uno su tre, i Comuni italiani che ospitano almeno una struttura a carattere museale: si tratta di un patrimonio diffuso su tutto il territorio nazionale, con 1,6 musei o istituti similari ogni 100 km2 e circa uno ogni 12.000 abitanti. E’ forte però la differenza delle modalità di fruizione e dei numeri di visitatori fra i “poli” e “le periferie”. Poco più di un decimo dei musei complessivamente censiti è infatti concentrato in dieci Comuni (Roma, Firenze, Bologna, Milano, Genova, Torino, Napoli, Trieste, Venezia e Siena), dove si contano in media 52 musei per ogni città. In particolare, nelle città di Roma, Firenze e Bologna, capitali del turismo culturale nazionale e internazionale, risiedono quasi 240 istituzioni a carattere museale. Per quanto riguarda i Comuni più piccoli, il 16,7% delle strutture è localizzata nei Comuni con meno di 2.000 abitanti, alcuni dei quali arrivano a contare quattro o cinque istituti sul loro territorio. Il 29,8% delle strutture è distribuito in 1.001 comuni con un numero di abitanti compreso fra 2.001 e 10.000 (che ospitano mediamente 1,3 musei ciascuno) mentre il 42,8% è situato nei 573 comuni della classe di popolazione 10.001-50.000 (in media due musei per ogni centro).

VISITATORI – Volendo valutare il successo dei luoghi della cultura in base al numero di visitatori, il flusso medio di ingressi è quantificabile in circa 27.000 per ciascun istituto. Tralasciando per il momento le notevoli differenze territoriali di distribuzione del pubblico, si legge fra i dati che nel 2017 i primi 20 musei e istituti similari hanno attratto oltre un terzo dei visitatori (36,3%) mentre il 28,7% ha registrato non più di mille visitatori all’anno – tenendo presente che Roma, Firenze e Venezia da sole attraggono il 36,2% dei visitatori degli istituti italiani.

ACCESSIBILITA’ – La quasi totalità delle strutture censite (80,5%) offre al pubblico un’apertura con orario prestabilito, in media di cinque giorni a settimana mentre il 70,9% consente l’accesso su richiesta. In generale, le strutture espositive censite sono in grado di garantire l’accesso al pubblico con continuità: il 70% delle strutture è stato aperto ai visitatori tutto l’anno, il 15,3% solo in alcuni mesi. Gli istituti che nel 2017 hanno aperto la propria struttura esclusivamente in occasione di eventi particolari (festa del patrono, settimana della cultura, ecc.) sono soltanto il 4,7%. Nonostante la riduzione di investimenti e risorse finanziarie e umane, il 63,7% degli istituti è stato aperto almeno 24 ore settimanali, compreso il sabato o la domenica, sette su dieci almeno cento giorni l’anno, ovvero almeno un’intera stagione.

GESTIONE E FORZA LAVORO – In quasi due terzi dei casi (63,1%) il patrimonio museale italiano è pubblico. Ben 2.067 istituti, pari al 42%, dipendono dai Comuni, solo 478 (pari al 9%) dal Ministero dei beni e il 3% dalla scuola o dalle università pubbliche. Tra gli istituti privati, il 12% fa capo a enti ecclesiastici e religiosi, il 9% ad associazioni riconosciute, il 5,3% a fondazioni mentre nel 4% dei casi si tratta di privati cittadini.

Tracciando un quadro delle figure professionali su cui si basa l’attività museale, si rileva che solo nel 40,4% dei casi risulta presente un direttore, nel 40,3% un Assistente alla Fruizione, Accoglienza e Vigilanza (AFAV), nel 37,4% un addetto ai servizi didattici ed educativi, nel 36,1% un responsabile tecnico della sicurezza e nel 35,4% un addetto/responsabile amministrativo o contabile. Il settore ha impiegato complessivamente 38.300 operatori, in media uno ogni 3.106 visitatori (nel 2015 erano 45 mila, uno ogni 2.400 visitatori). Analizzando i dati sul personale, risulta che il 58,2% degli istituti ha non più di cinque addetti e solo il 32,7% ne ha più di 10. In un istituto museale su tre (29,1%) prestano la propria opera collaboratori volontari, che sono circa 11 mila in tutto.
Questi dati indicano l’esigenza e l’opportunità di professionalizzare un settore ampiamente sostenuto dall’iniziativa volontaristica e spontanea di personale non sempre adeguatamente.

INTROITI E FONDI – Nel 2017, quindi, i visitatori paganti sono stati 67,1 milioni (oltre la metà). In particolare, il pubblico risulta suddiviso in 57,8 milioni di visitatori di musei, 15,5 milioni per le aree archeologiche e 45,8 milioni per i monumenti. L’incremento maggiore riguarda i visitatori dei monumenti e delle aree archeologiche.
Meno della metà degli istituti italiani (47,9%) prevede l’ingresso a pagamento; il 42,3% non ha alcuna entrata derivante dalla vendita dei biglietti. Di questi, solo uno su dieci è un istituto statale.
La maggior parte delle strutture (34,4%) consente la visita con ingresso sia gratuito sia a pagamento. Quelle accessibili soltanto a pagamento sono invece il 13,5% del totale mentre oltre una su cinque (20,8%) prevede l’accesso esclusivamente a titolo gratuito. Il 23% infine non emette alcun tipo di biglietto. La modalità di accesso esclusivamente a pagamento è praticata soprattutto da parte delle strutture di grandi dimensioni (che nel 2017 hanno avuto più di 10 mila visitatori l’anno).
L’11,2% dei musei offre poi la possibilità di ingresso con forme di abbonamento o carte museo. Gli istituti che puntano su queste iniziative di fidelizzazione del pubblico attraggono il 33,4% dei visitatori e sono soprattutto i monumenti e i complessi monumentali e le strutture del Nord-ovest. La formula del biglietto cumulativo che consente l’accesso a più strutture espositive è ancora più diffusa ed è proposta da quasi un museo su quattro (24,8%)

Cresce il numero dei musei che fruisce di contributi e finanziamenti pubblici – nel 2017 sono il 41,3% dal 32,1% nel 2015 – e di sovvenzioni private (il 24,1% dal 18,5%). Tuttavia, se si considera il numero di visitatori, le strutture che hanno registrato meno di 1.000 ingressi riescono a beneficiare del sostegno finanziario pubblico solo nel 27,4% dei casi, contro il 60,3% dei musei che accolgono tra 100 mila e 500 mila visitatori. Tra le strutture con più di 1.000 e meno di 10 mila visitatori l’anno (il 36% del totale degli istituti), il 28,7% si avvale di finanziamenti privati (sponsorizzazioni, contributi di fondazioni, donazioni, Art Bonus, ecc.) mentre il 33,5% riesce a realizzare proventi attraverso servizi aggiuntivi, bookshop, prestiti di opere, affitti, concessioni e royalty, che invece confluiscono nei bilanci della quasi totalità degli istituti con più di 500 mila ingressi (86%). Anche i finanziamenti privati favoriscono le grandi strutture: ne beneficia infatti la metà di quelle con un flusso di utenti compreso tra i 100 mila e i 500 mila visitatori.

LA FORBICE FRA GRANDI POLI E PICCOLE STRUTTURE – Sebbene rappresentino meno dell’1% delle istituzioni censite, nelle grandi realtà si concentra più di un terzo (36,3%) del pubblico dei visitatori, di cui quasi la metà paganti (20,8 milioni). Solo tre sono aree archeologiche (gli Scavi di Pompei, il Foro romano e Palatino di Roma e il Parco archeologico e paesaggistico della valle dei templi di Agrigento), gli altri si equi-ripartiscono tra musei e monumenti. Dei 12 istituti statali presenti in elenco, considerando il numero di visitatori registrati, la metà figura nelle prime posizioni. In tali strutture operano più di 2 mila addetti: in media 107 addetti per istituto, tra questi 2 sono volontari e 3 operatori del servizio civile nazionale. Tre quarti delle strutture hanno un sito web dedicato e dispongono di un servizio di biglietteria online mentre il 65% (48% la media italiana) ha un proprio account sui social media.
Le grandi strutture museali italiane hanno dunque colto appieno le potenzialità offerte dal web e dai social network. Solo cinque delle 20 strutture considerate non è ancora dotata di un sistema per il conteggio dei visitatori (tornelli conta passaggi o altri sistemi conta persone, registri obbligatori per le firme, ecc.). La larga maggioranza (85%) ha svolto attività di ricerca e didattico-educativa, l’80% ha organizzato eventi per il pubblico allestendo esposizioni e mostre temporanee, richiamando un totale di 71,3 milioni di persone, il 75% ha affittato i propri locali e/o degli spazi per eventi e/o manifestazioni private. Nove strutture su 10 hanno ottenuto, nel 2017, proventi derivanti da servizi aggiuntivi al pubblico, attraverso bookshop, prestiti di opere, affitti, concessioni, royalties, ecc.; il 65% ha ricevuto finanziamenti pubblici e la metà finanziamenti da privati.

Come già detto, però, a differenza di altri Paesi, l’offerta museale italiana è costituita da un consistente numero di strutture di dimensioni piccole e piccolissime, diffuse in modo capillare su tutto il territorio che rappresentano il patrimonio delle comunità locali: la piccola dimensione si riflette anche sulla capacità organizzativa.
Le organizzazioni con meno di 1.000 visitatori sono il 41,3% del totale e dispongono di modeste risorse finanziarie e organizzative. Nel 31% dei casi gli addetti sono al massimo quattro, solo il 20,1% dispone di un sito web completamente dedicato alla struttura, il 2,9% offre la possibilità di acquistare online i biglietti, il 20,4% è dotato di un sistema conteggio dei visitatori; il 27,4% accede a finanziamenti pubblici e meno del 14,3% è in grado di ottenere finanziamenti e contributi privati o di generare proventi attraverso servizi aggiuntivi (11,5%). La quasi totalità (90,5%) sono musei, il 5,8% monumenti e solo il 3,7% aree o parchi archeologici. Si tratta generalmente di strutture comunali (nel 50,1% dei casi) o di enti ecclesiastici e religiosi (12,7%). Per lo più sono musei etnologici e antropologici che conservano ed espongono testimonianze e memorie legate al territorio e alla storia locale (19,5%) e musei tematici specialistici che raccolgono materiali riguardanti un tema e/o un soggetto specifico (12,7%). Solo il 29% (43,7% a livello Italia) decide di utilizzare i propri spazi per allestire delle mostre a carattere temporaneo.

In Italia il 42,5% degli istituti aderisce a reti o sistemi museali organizzati, che comprendono altri musei o istituti, al fine di condividere risorse umane, tecnologiche e/o finanziarie. La diffusione dei sistemi museali varia però considerevolmente da una regione all’altra: aderiscono a tali organizzazioni in rete oltre la metà dei musei e istituti similari di Toscana, Umbria, Lazio, EmiliaRomagna e meno di un terzo di quelli situati in Valle d’Aosta, Calabria e Abruzzo. La propensione a “fare sistema” sembra una peculiarità dei musei pubblici (72,6%), anche se sta crescendo anche in quelli privati. Se quasi la metà degli istituti (47,2%) è dotato di un regolamento o di uno statuto che disciplina l’organizzazione interna, solo due musei su dieci dispongono di una “Carta servizi” nella quale sono esplicitate le finalità, i servizi offerti, i fattori di qualità adottati, nonché i doveri dell’amministrazione, le forme di tutela dei diritti degli utenti e le modalità di reclamo. I soggetti pubblici che ne dichiarano l’adozione sono oltre l’80% mentre tra i privati le carte dei servizi sono presenti solo nel 14,5% delle istituzioni.

Nelle strutture di medie dimensioni è stata riconosciuta la capacità di proporre spazi e forze per attività tecnico-scientifiche e di studio: il 55% di quelli tra 1.000 e 10 mila visitatori l’anno), quelli che espongono opere e beni d’arte moderna e contemporanea (65,5%) e i musei di arte antica e classica (55,5%). Resta però il dato che più della metà dei musei (64,7%), dislocati soprattutto al Nord, destina una parte dei propri spazi ad attività didattiche ed educative mentre il 36% svolge attività di ricerca (Figura 3). Oltre un quinto (21,8%) degli istituti museali ha dato in locazione i propri locali e/o spazi per eventi e/o manifestazioni private. Nella maggior parte dei casi è una pratica adottata dalle amministrazioni che gestiscono monumenti e complessi monumentali (36,7%) e dagli istituti a titolarità statale (40,6%). Accanto all’organizzazione e gestione delle esposizioni permanenti si rileva un’attività molto diffusa e intensa per l’allestimento di esposizione temporanee: il 43,7% dei musei le ha organizzate nel corso del 2017.

POTENZIALITA’ – Roma, Firenze, Venezia, Milano, Napoli, Torino e Pisa raccolgono, nelle loro 369 strutture museali (di cui un terzo dislocate solo nella capitale), quasi 59 milioni di visitatori, pari a poco meno della metà dell’intero pubblico museale. Le prime quattro corrispondono anche alle città italiane con la maggiore attrattività turistica, se si considera che nel 2017 hanno ospitato 23,4 milioni di turisti7 (pari al 38% del totale). Nel complesso per le prime sette mete culturali si registra il rapporto di tre visitatori per ciascun turista ospitato, a fronte di una media pari a 2,3 per le prime 50 città della classifica costruita in base al numero di visitatori.

In un contesto complessivamente caratterizzato da un’offerta e da una domanda estremamente polarizzate, le 20 strutture museali italiane di maggiore attrazione arrivano a realizzare in totale oltre 43 milioni di ingressi all’anno. Benché sia forte la propensione delle medie e piccole realtà museali – o di tale ispirazione – a “fare rete”, manca ancora la piena visione territoriale delle potenzialità delle stesse reti museali.