Cosa lega l’arte di un falconiere, quella di un pizzaiolo napoletano o di un tenore sardo e la sapienza artigiana di un liutaio di Cremona o dell’Opera dei Pupi? Cos’hanno in comune la dieta mediterranea, una pratica agricola come quella della vite ad alberello di Pantelleria e la Macchina di Santa Rosa, la spettacolare torre alta 30 metri illuminata da luci e fiaccole che ogni 3 settembre fa il giro della città di Viterbo sulle spalle di centinaia di facchini? Sono tutti esempi di quello che – nella Convenzione del 2003 – l’Unesco ha definito il “patrimonio culturale immateriale” e che Rai Cultura racconta nel documentario “Il patrimonio immateriale” in prima visione lunedì 26 novembre alle 21.10 su Rai Storia. A chiarire il significato di “immateriale” è il Segretario della Convenzione Unesco, Tim Curtis: ”La definizione che diamo – dice – è che si tratta di un “patrimonio vivente”. Ne fanno parte pratiche, rappresentazioni, espressioni, conoscenze e abilità di persone che le hanno ereditate generazione dopo generazione e che le hanno adattato al mondo in cui vivono. Queste pratiche danno un senso di identità e di continuità alle comunità”.
Di queste identità il documentario va alla ricerca da nord a sud dell’Italia, alla scoperta di otto esempi concreti: sfilano così – con l’intervento di esperti e “artigiani” dell’immateriale – la falconeria e le “macchine a spalla” del Centro Sud, le note dei violini cremonesi e i piatti della dieta mediterranea, le storie di cavalieri raccontate dai Pupi Siciliani e quelli dei “cantadori” sardi, l’ostinato amore per la terra dei viticoltori di Pantelleria e il sapere che si cela dietro un bene “buono” e assai materiale come la pizza.
Tra le numerose testimonianze di chi fa vivere quotidianamente le bellezze italiane e la loro storia c’è anche quella di Mimmo Cuticchio, una vita per i Pupi siciliani, che sintetizza così il senso di essere Patrimonio dell’umanità Unesco: “Noi uomini siamo patrimonio dell’umanità, quindi quando alcuni mestieri vengono riconosciuti dall’Unesco non è per l’opera definita ma per ciò che c’è dietro. Cosa c’è dietro? C’è tutto il sapere degli antichi. C’è qualcosa quasi di misterioso in ciò che io faccio, perché tanto più vado in scena pensando che le cose le ho imparate, tanto più le scopro o le riscopro”.

Fonte: Uff Stampa RAI