editoriale 2 aprile, di Ingrid Veneroso.

E’ trascorso un anno dall’inizio dell’emergenza sanitaria causata dalla pandemia Covid19 e quelle che sembravano rinunce transitorie si sono trasformate in nuove abitudini. Pur guardando l’orizzonte del ritorno ad una vita sociale in presenza e ad una fruizione della bellezza di pieno e soddisfacente contatto, questo trascorso non è stato un anno sprecato, come qualcuno crede.

Gli operatori del mondo della cultura e del Patrimonio Mondiale hanno impegnato questo tempo immobile per aggiornarsi, formarsi, progettare e sperimentare. Dopo un primo momento di smarrimento, ci siamo tutti rimboccati le maniche e abbiamo messo in campo tutte le nostre risorse per sostenere le rivoluzioni che ci aspettavano: la traduzione dei contenuti per il digitale, la riformulazione del rapporto con il pubblico a distanza, la costruzione di rapporti nuovi e sinergie inimmaginabili prima, per dare più valore al nostro lavoro e disseminarne al meglio il messaggio.

Quello che manca, ad oggi, non è (solo) il poter passeggiare fra le calli di Venezia o perdersi per le sale del nostro museo preferito. Quello che manca è la possibilità di contribuire in maniera concreta al necessario risettaggio del Sistema Paese, verso la sostenibilità ambientale, economica e sociale, che metta le capacità del mondo creativo e di quello dei beni culturali davvero al centro. Quello che manca è questo e – forse – se non si realizza questa prospettiva ora, non se ne avrà mai più l’occasione. Sarebbe questo il momento di dare voce e ascolto all’universo di manager della cultura, giovani curatori, artisti, filosofi, progettisti culturali che si sono formati lungo un percorso indicato dagli esperti  di ieri e che non hanno modo di realizzare il loro piano come esperti dell’oggi. Quello che manca è una visione condivisa del futuro e, dal nostro osservatorio della Rivista Siti, è una mancanza anche piuttosto palese.