Il Polo Mussale della Calabria propone fino al 29 febbraio 2020 la mostra diffusa “VIDE Viaggio Dell’Emozione”, che coinvolge tutte le Sedi: ognuna di esse sarà un segmento dell’itinerario proposto grazie alla presenza di opere particolari.
Al Museo Archeologico di Lametino a Lamezia Terme sarà esposta la Hydrìa di Cerzeto (380-370 a.C.), a testimoniare il viaggio nel mondo femminile tra realtà e mito. L’Hydrìa è nota per il suo ricco apparato figurativo che rimanda con forza al tema del mondo femminile greco. Le immagini principali rappresentano scene di toilette e alludono alla sfera nuziale e alla preparazione per il primo incontro d’amore. Dopo un bagno rituale all’aperto presso una rocciosa fonte sacra, la protagonista, avvolta in un sottile abito trasparente e adorna di gioielli, si rimira allo specchio per verificare la conquista di quel potere di seduzione che le permetterà di abbandonare lo status di adolescente per diventare finalmente sposa (in greco nymphe) e poi madre. Suggestiva è l’ipotesi di identificarla con la ninfa Terina, dea locale da cui i crotoniati trassero il nome della loro colonia, spostando il nostro viaggio dal mondo reale a quello dell’immaginario mitico.

Alla Galleria Nazionale di Cosenza i visitatori troveranno il “Riposo durante la fuga in Egitto” di Francesco De Rosa detto Pacecco (1645, circa), per riflettere sul viaggio come salvezza. Il tema del viaggio, generalmente inteso come piacere di scoprire luoghi nuovi, è declinato, nel dipinto Riposo nella fuga in Egitto di Pacecco De Rosa, come “itinerario” indicato da Dio per la salvezza del suo Figlio unigenito: è così che la Sacra Famiglia, in fuga verso la terra straniera d’Egitto, scampa all’atroce strage di innocenti ordinata da Erode e trova un momento di pace. Il dipinto manifesta grande intensità di accenti e, per intelligenza emotiva, figura a pieno titolo nell’ambito del “naturalismo affettivo” messo a fuoco dalla critica per questa fase della pittura napoletana.
Ad Amendolara (Cosenza), presso il Museo Archeologico di Amendolara, grazie al reperto Aegyptiaca (VIII-VII sec. a.C.) si ripercorre un viaggio lungo rotte commerciali e scambi culturali nel Mediterraneo.
Dalle terre d’Oriente alle coste della Sibaritide, navi mercantili di provenienza greca e fenicia trasportavano amuleti d’imitazione di tipo egizio, oggetti ritenuti magici poiché legati alle credenze della cultura faraonica della tutela, della fecondità femminile e della salute infantile. Tali oggetti erano destinati all’aristocrazia locale e conservati per generazioni come cimeli. La loro presenza nell’area di Amendolara è una testimonianza inequivocabile degli scambi culturali che direttamente o indirettamente attraverso i commerci, ponevano l’antico centro preellenico tra gli scali delle rotte battute da naviganti lungo le coste del Mediterraneo.
Al Museo e Parco Archeologico della Sibaritide, a Cassano all’Ionio (Cosenza), i visitatori troveranno in esposizione un Pettorale in oro e argento (599-575 a.C.) a rappresentare il viaggio degli Achei e la fondazione della colonia di Sibari. Ritrovato nell’area di Stombi, il prezioso oggetto faceva parte di un antico pettorale utilizzato probabilmente come ornamento per una veste rituale. Tale reperto riassume nella propria materia d’oro e argento e nella lavorazione decorativa, formata da coppie di palmette a sette petali contrapposte a fiori di loto, i fasti di Sybaris, la città fondata dagli Achei nel 720 a.C., che tra il VII e il VI sec. a.C. conquistò, grazie alla sua floridezza, la supremazia sulle città di confine. Tale ruolo fu perduto dopo due secoli di splendore, quando decadde a seguito della dolorosa sconfitta infertale dall’esercito dei Crotoniati guidati dall’atleta Milone.
Al Museo Archeologico Nazionale “Vito Capalbi” di Vibo Valentia l’itinerario si concentra su una Laminetta orfica di Hipponion (IV sec. a.C.) per richiamare al viaggio nell’oltretomba. Piccole lamine d’oro databili fra IV e III sec. a. C. venivano create per essere seppellite insieme al defunto e per accompagnare la sua anima nel viaggio verso l’oltretomba. Legate al culto orfico, tali laminette possono essere considerate delle vere e proprie istruzioni di guida sul percorso da seguire nel viaggio finale. Tra queste, quella di Hipponion è la più completa. Ritrovata sul petto di una donna, ripiegata quattro volte su se stessa, presenta un’iscrizione greca incisa su sedici righe. Grazie alle indicazioni descritte, l’anima, aiutata dalla dea memoria Mnemosyne non si sarebbe accostata alla prima fonte che avrebbe trovato lungo il cammino, la fonte dell’oblio, ma avrebbe proseguito fino alla fonte della memoria, da lì avrebbe pronunciato le sacre parole alle porte degli Inferi che l’avrebbero condotta finalmente nell’aldilà.
Al Museo e Parco Archeologico “Archeoderi” di Bova Marina (Reggio Calabria), una Colonna miliaria proveniente dalla località Amigdalà datata fra il 306-367 d. C., riporta al tema delle “strade per viaggiare, strade per dominare”. A partire dal II sec. a.C., Roma, divenuta ormai una grande potenza, aveva sentito l’esigenza di costruire delle strade per agevolare i collegamenti al Sud; così nacquero la via Capua-Regium, meglio nota come via Popilia, e sulla costa ionica l’asse viario che collegava Reggio con Taranto. Lungo questi tratti, furono costruite delle stazioni di sosta (stationes) che permettevano ai viaggiatori di rifocillarsi e cambiare i cavalli. Uno di questi punti di sosta, denominato Scilleum o Sileum, secondo l’Itinerario Guidonense, era situato nella vallata del S. Pasquale, in località Deri di Bova Marina. Su questo sistema stradale si colloca la colonna miliaria monolitica di calcare granitico locale, frammentata alle due estremità, che conserva due iscrizioni contrapposte, indice del suo riutilizzo in età successiva, una con dedica all’imperatore Massenzio e l’altra agli imperatori Valentiniano e Valente.
Al Museo Archeologico di Metauros, a Gioia Tauro (Reggio Calabria) un’anfora di produzione calcidese (550-500 a.C.)ritorna al tema del viaggio nell’oltretomba: le necropoli di Mètauros.
L’antica Métauros fu fondata dagli abitanti di Zancle (odierna Messina) per motivi espansionistico-commerciali e nel VI secolo a.C. passò sotto l’influenza della colonia magno-greca di Locri. L’intensa urbanizzazione del secolo scorso non ha permesso la conduzione di indagini approfondite ed in estensione nella zona di Pian delle Fosse, sede probabile dell’abitato antico: solo quelle condotte lungo la fascia litoranea hanno restituito numerosi dati di conoscenza della necropoli in uso tra VII e V secolo a.C. I ricchi corredi attestano anche gli stretti legami di Métauros con i centri di Mylae, Zancle e Rhegion. Da segnalare, l’anfora con scena di auriga su biga, una delle numerose testimonianze di produzione ceramica calcidese rinvenute nel corso delle indagini.
Presso i MUSEI E PARCO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI LOCRI – MUSEO DEL TERRITORIO DI PALAZZO TEOTINO NIEDDU DEL RIO a Locri (Reggio Calabria) vengono esposti Modellini di ninfei e reperti dal Santuario di Grotta Caruso, databili dal VI sec. a.C.a raccontare il viaggio nel territorio ionico: tra elementi naturali e rituali. Gli antichi vedevano le risorse naturali come elementi vitali per la sopravvivenza della comunità e l’acqua, elemento rigenerante presente nei miti di fondazione della terra, occupa un posto importante anche in occasione di cerimonie sacre in luoghi di culto dedicati a diverse divinità. A Locri, la scoperta di Grotta Caruso che presentava alle pareti una serie di nicchie e un bacino lustrale raggiungibile attraverso sette gradini, ne è una chiara testimonianza. Vi erano venerate le Ninfe, legate tradizionalmente ai luoghi d’acqua, che sovrintendono ai riti prenuziali con il passaggio dalla condizione di fanciulla vergine a quella di sposa. Frequentato dagli inizi del IV sec. a.C. fino alla metà del II secolo a.C., il suggestivo luogo di culto ha restituito un ricco deposito votivo di terrecotte: modellini di grotte-ninfeo in terracotta, figurine femminili nude sedute, piccoli rilievi (erme) con le teste delle Ninfe.
Al MUSEO E PARCO ARCHEOLOGICO DELL’ANTICA KAULON a Monasterace Marina (Reggio Calabria) saranno esposti dei kadoi (I sec. a.C. – I sec. d.C.), particolari contenitori in terracotta utilizzati per la conservazione e per il trasporto della pece. Il tema della tappa di Monastarace Marina sarà il viaggio nell’antica colonia di Kaulonía, tra mare e zona aspromontana. I Kadoi costituiscono un rinvenimento abbastanza raro e non altrimenti documentato in Calabria che attesta come nell’antichità venissero sfruttate alcune delle risorse a disposizione. La città di Kaulonía, grazie alla sua localizzazione tra mare e zona aspromontana, offriva ai suoi abitanti e a quanti risiedevano nel suo territorio, la possibilità di procurarsi legname e pece, quella pece perfettamente conservata nei Kadoiesposti al museo, utilizzata oltreché per i fabbisogni quotidiani anche per uso commerciale. Va ricordato infatti, che il centro acheo era inserito nei circuiti commerciali marini dell’area mediterranea sia in età greca che romana.
Al MUSEO E PARCO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI SCOLACIUM di Borgia (Catanzaro) sono esposti diversi reperti provenienti dalla Necropoli Sud-Est (fine I sec. a.C. – I sec. d.C.) che portano il visitatore lungo la “Ultra limina leti” – Oltre le porte della morte, nell’ultimo viaggio dei cittadini di Scolacium.​ Le necropoli di Scolacium testimoniano l’importanza del centro. Con la crescita economica e sociale della città si organizzarono e iniziarono ad estendersi anche le “città dei morti”. Le ricerche archeologiche hanno permesso di scoprire le diverse tipologie di sepolcri, dalle inumazioni alle tombe ad incinerazione, fino ai mausolei monumentali che, lungo le vie e sotto gli occhi dei cittadini, plasmavano la fisionomia del suburbio e erano uno dei punti di riferimento per i viaggiatori. Il contesto proposto per rappresentare l’ultimo viaggio proviene dalla necropoli sud-est, che ha restituito sepolture databili tra il I secolo a.C. e il IV secolo d.C.: una tomba ad inumazione in cassone di mattoni e due urne cinerarie (in terracotta e in lamina di piombo) con i loro corredi, manufatti in vetro deposti insieme alla salma e alcuni oggetti rinvenuti fusi all’esterno delle tombe, in relazione ai rituali post mortem.
Al MUSEO STATALE DI MILETO, a Mileto (Vibo Valentia), un turibolo in argento (fine XV sec. – inizi XVI sec.) ci porta alla riscoperta di un artigianato locale. Proveniente dal Tesoro dell’antica Cattedrale, il turibolo è il vaso metallico utilizzato per bruciare l’incenso e diffonderne il profumo durante le celebrazioni eucaristiche. Interrogare questo antico manufatto significa arretrare fino al XII secolo, al viaggio compiuto dall’abate Gioacchino da Fiore alla volta di Longobucco, sede di miniere in argento, per la fornitura di un calice. Tale notizia, ricavata dalla biografia del religioso, è stata di fondamentale importanza per stabilire l’esistenza e l’attività di una “scuola argentaria” nei pressi di Longobucco, e quindi collegare anche la realizzazione dell’incensiere di Mileto all’operosità di qualche officina locale e non già alla scuola napoletana. Il viaggio di Gioacchino da Fiore, quindi, è il viaggio alla riscoperta di un artigianato locale di lontanissime origini, ancora difficile da documentare, ma sicuramente esistito.
Il MUSEO E PARCO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI CAPO COLONNA e il MUSEO E PARCO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI CROTONE, entrambi a Crotone, espongono invece parti di statue in marmo raffiguranti cavalli (secondo quarto del V secolo a. C.) e una museruola in bronzo (seconda metà del IV secolo a.C.), per onorare la figura del cavallo come compagno di viaggio. Gli elementi equini esposti a Capo Colonna rappresentano parti considerevoli di gruppi statuari raffiguranti presumibilmente i carri delle divinità. Essi componevano l’apparato decorativo dei frontoni del grande tempio di ordine dorico eretto nel 475-460 a.C., di cui oggi si conservano le enormi fosse di fondazione del basamento ed una delle sei colonne del lato orientale, affacciata sul mare, che dà oggi nome al sito, Capo Colonna.
La museruola per cavallo, invece, doveva fungere da offerta votiva all’interno del santuario collocato nell’attuale località Vigna Nuova. Tale santuario rappresenta uno dei principali luoghi di culto di epoca greca individuati in corrispondenza dell’antica area urbana. La scelta di un tema legato al cavallo vuole mettere in collegamento due musei che convivono nello stesso Comune, Crotone. Mezzo di trasporto sin dall’antichità più remota ma anche segno di prestigio sociale, il cavallo verrà raccontato in maniera da porre in risalto le sue varie funzioni nel corso della storia, con particolare riguardo alle peculiarità che lo mettono in relazione con le culture greca e italica pre-romana in genere.
Il viaggio fra terra e mare viene ricordato presso la Fortezza di Le Castella (XIII – XVI secolo) ad Isola di Capo Rizzuto (Crotone). Il tema de “Il viaggio tra terra e mare. Le Castella crocevia di popoli e di epoche” nasce dalla posizione stessa della Fortezza: l’isolotto su cui essa sorge è localizzato all’estremità orientale del golfo di Squillace. Collegato alla costa da un sottile lembo di terra, realizza una suggestiva simbiosi scenografica tra architettura costruita e architettura naturale. L’impianto del XIII secolo, costruito su preesistenze di epoca greca, rientrava nella politica di difesa del litorale attuato dagli angioini all’acquisizione del regno meridionale. Gli aragonesi ne entrarono in possesso dalla fine del XV secolo, trasformando la fortificazione, della quale la torre cilindrica costituiva il nucleo originario, adeguata alle nuove esigenze di difesa contro le armi da fuoco. Intorno al 1520 nacque a Le Castella Giovanni Dionigi Galeni, meglio conosciuto come Uluç Alì Pascià, corsaro dal nome turco da cui deriva il nostro “Uccialì” o “Occhialì”, figura esemplare per rappresentare il tema del viaggio come intreccio di relazioni, scambi, interazioni e migrazioni da sempre esistito nel mar Mediterraneo e in territorio calabrese.
Nella Chiesa di San Francesco d’Assisi (fine XIII – inizio XIV secolo) a Gerace (Reggio Calabria), si può compiere una tappa ricordando il viaggio nella spiritualità francescana. Importante esempio di architettura dell’ordine mendicante in Italia meridionale, la Chiesa, costruita tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento sui resti di un precedente edificio romanico, apparteneva ad un complesso conventuale di cui rimangono il pozzo e una parte del chiostro. Nonostante le trasformazioni di età barocca, conserva nelle sobrie forme la volontà di aderire ai dettami pauperistici dei suoi fondatori. Attraverso un monumentale portale trecentesco con decorazioni di ispirazione arabo-normanna si accede all’ampia aula rettangolare, coperta da tetto a capriate e illuminata da una serie di monofore. Arricchisce l’interno il magnifico altare seicentesco a tarsie marmoree, che disegnano mirabili elementi paesaggistici, fitomorfi e zoomorfi, fra cui un grazioso uccellino che sembra evocare il messaggio del fraticello d’Assisi “Laudato sie mi’ Signore, cum tucte le tue creature”.
Presso la Cattolica di Stilo, (Reggio Calabria), la cui costruzione si colloca fra la fine del X secolo e l’inizio dell’XI il viaggio si conclude con una tappa nella spiritualità bizantina.
Inserita in un suggestivo contesto paesaggistico, la Cattolica di Stilo è il monumento simbolo della Calabria bizantina. Di esigue dimensioni, è impostata su una pianta a croce greca inscritta in un quadrato con tre absidi orientate. L’interno è suddiviso in nove spazi da quattro colonne di spoglio e la luce vi filtra enfatizzandone la dimensione mistica. Le pareti e le cupole sono affrescate con immagini sacre che per il culto bizantino rappresentano una “…finestra aperta sul mondo soprannaturale al di là del tempo e dello spazio”. Colpiscono i vibranti colori degli affreschi, tra cui quelli della scena dell’Annunciazione, in cui Maria nel momento del concepimento, divenendo “…cielo senza cessare di rappresentare la terra…”, permise il riavvicinamento tra il divino e l’umano.