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“Palmira è uno spazio del cuore. Sono innamorato di Palmira”. Così Manar Hammad, archeologo, semiologo e architetto libanese, proveniente da una famiglia originaria di Aleppo, e considerato tra i massimi esperti del sito siriano, oggi devastato dall’Isis, ha commentato il suo libro Bel/Palymra Hommage (edito in Italia da Guaraldi).

A Palermo per il primo dei Colloquia di Biennale arcipelago mediterraneo, che si è svolto ieri al Museo internazionale delle Marionette “Antonio Pasqualino”, Hammad ha mostrato scatti recenti e approfondimenti inediti sullo straordinario sito, protetto dall’Unesco, e oggi ridotto in rovina. “Per fortuna – dice – il 90 % di Palmira è ancora da scoprire. Hanno usato le mine tre volte per cancellarne la qualità estetica, l’emozione che comunica. L’operazione Isis – spiega Hammad – segue la logica inversa alla ricostruzione. Il loro nemico è il conservatore, colui che tenta di riportare alla luce. Gli oggetti sono scelti anche in funzione della loro immagine, del senso che comunicano”.

Il volume di Hammad non vuole soltanto ricordare com’era:  è “un monito a non rassegnarsi alla scomparsa di questa bellissima architettura e alla cancellazione di Palmira”. 

Ma qual è la logica che ha portato alla sua devastazione? “Palmira – risponde lo studioso – era stata creata come collegamento fra il Mediterraneo e il Golfo Arabico. La sua ricchezza erano gli scambi, il mescolarsi delle culture, come testimoniato dai suoi resti. Nel tempo ha conosciuto anche una forte presenza islamica. I fondamentalisti pongono la questione in termini religiosi. Ma questa guerra ha una forte dimensione economica. Ha vinto la logica di fare del male. Mirano a distruggere per distruggere. Molti combattenti dell’Isis, giovani venuti dall’Occidente, riproducono il modello di violenza di certi film americani e dei videogiochi. La scelta jihadista offre loro il quadro legale entro cui agire”. L’archeologo ricorda poi che c’erano 5 moschee nel tempio di Bel: “Hanno usato le mine tre volte per cancellarne la qualità estetica, l’emozione che comunica. La dinamite è un’opera collettiva, non ha un solo padrone. Distruggere le cose belle ha un significato semantico diverso”. Altre volte Isis ha usato i bulldozer, l’abbattimento a colpi di piccone.

“L’operazione Isis – spiega Hammad – segue la logica inversa alla ricostruzione. Il loro nemico è il conservatore, colui che tenta di riportare alla luce. Gli oggetti sono scelti anche in funzione della loro immagine, del senso che comunicano”. Il mercato dei beni archeologici è una delle fonti di finanziamento di Isis. “A Palmira – aggiunge lo studioso – sono stati trafugati oggetti dalle necropoli. Isis ha un ministero che tratta l’archeologia come fosse una risorsa mineraria al pari dell’oro o dell’argento. Rilasciano permessi per asportare i materiali. Basta versare allo stato islamico il 20%”. Hammad ricorda poi Khaled al-Asaad, direttore del museo e del sito archeologico della città di Palmira, trucidato da Isis nell’agosto 2015: “Era un uomo gentile e amabile. Ha vissuto per più di 35 anni al museo. Tutti lo conoscevamo e lo stimavamo. E’morto lì, per non abbandonare il luogo che amava”. Adesso Palmira è nuovamente sotto il controllo dello stato islamico. Quando sarà finita, come si potrà recuperare ciò che resta? “Una equipe di studiosi ha visitato il sito, quand’era sotto lo stato siriano nel 2016. Niente scompare. Gli archeologi lavorano su indizi, spostano gli oggetti per trovare ciò che nascondono, ricompongono frammenti, usano le immagini. Anche così si può ritrovare il senso perduto delle architetture”.

Fonte. ANSA.IT